Dal 2017 niente più codici commentati in sede di prove scritte.
Il nuovo decreto Ministero Giustizia, 25 febbraio 2016, n. 48, prevede, tra le altre cose, l’abolizione dei codici commentati per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato, a partire dal 2017.
La decisione, che già doveva essere adottata lo scorso anno e poi procastinata, ha generato numerose perplessità, sia tra gli avvocati che, a maggior ragione, per i candidati, per i quali si appalesava improvvisamente un drastico cambiamento del modo di affrontare l’esame, tendenzialmente immutato dal 1989.
Su Altalex l’Avv. Paolo Franceschetti propone una lettura attenta della questione, che trovate qui.
Il collega sostiene, in sintesi, che una buona preparazione alla prova scritta dell’esame di abilitazione, sostenuta dallo studio della giurisprudenza, della teoria generale e dei parari motivati, consenta di svolgere brillantemente le prove, senza il timore legato alla ricerca affannosa della sentenza sui codici, da copiare ed incollare nell’elaborato. L’utilizzo dei codici, prosegue il collega, risulta inoltre estremamente oneroso per il candidato, specie nella malaugurata ipotesi in cui l’esame non venga superato al primo colpo e debba essere ripetuto più volte.
Ebbene, lungi dal voler scoraggiare i candidati dell’edizione 2017, a quali consigliamo di seguire pedissequamente le indicazioni del collega Franceschetti, non possiamo, tuttavia, non rilevare una certa incoerenza nella decisione del Ministero di abolire l’utilizzo dei codici.
Essa, sebbene improntata all’idea di stimolare i candidati al ragionamento, non tiene in considerazione quella che è la prassi delle aule di giustizia, che vede un largo ricorso ai commenti giurisprudenziale, sia da parte delle difese che, viepiù, da parte dei magistrati. E ciò non soltanto con l’intento di sondare i vari orientamenti, al fine di predisporre una difesa ragionata o, dal lato del giudice, di dirimere le controversie portate alla loro attenzione. Si verifica molto spesso, infatti, che sia gli atti difensivi, che soprattutto le sentenze, non si discostino minimamente da quella che risulta essere una giurisprudenza consolidata, nonostante gli sforzi della difesa.
Un esempio potrebbe essere quello dell’introduzione dell’appello con citazione nei casi in cui è previsto il ricorso, che vede una giurisprudenza di legittimità arroccata sull’inammissibilità dell’appello, nonostante l’atto di citazione sia un atto notevolmente più garantista per il convenuto, anche quando lo stesso sia solo notificato entro i termini per il deposito del ricorso e non anche iscritto a ruolo. Ma tant’è, Cassazione docet!
Che senso ha, dunque, abolire i codici in sede di esame, quando poi nella quotidianità della vita forense non si riesce più a fare a meno, non già soltanto dei codici, ma addirittura delle banche dati on line e dei loro articolati strumenti di ricerca?
Se lo scopo è quello di far ragionare il candidato, allora è legittimo domandarsi perchè le tracce degli ultimi anni siano sempre state incentrate su una sentenza di legittimità, pressoché presente i tutti i codici e non siano proposti, piuttosto, dei casi articolati su sentenze di merito o, addirittura, creati ad hoc per la prova. Così facendo il candidato, non potendo contare sulla presenza nel codice della specifica sentenza risolutiva, sarebbe comunque indotto al ragionamento, dovendo districarsi tra norme e giurisprudenza generica per proporre la sua personale risoluzione del caso.
L’acquisto dei codici inoltre, che comunque non è mai stato imposto, diverrebbe ancor di più una scelta del candidato, che potrebbe anche utilizzare un’edizione non necessariamente aggiornata alle ultime novità e risparmiare denaro.
A noi pare che, come al solito, le decisioni vengano prese sulla base dell’emotività del momento, piuttosto che essere sorrette da una attenta valutazione di tutte le variabili in gioco.
Non rimane che attendere l’esito del “primo esame senza codici”, riponendo particolare attenzione e curiosità, soprattutto nel modo in cui verranno corretti gli elaborati.