Recentemente lo Studio ha trattato un caso giurisprudenziale legato al rimedio della c.d. Legge Pinto. Ovvero la legge che consente ad ogni cittadino che ne abbia i requisiti, di richiedere un risarcimento allo Stato per l’irragionevole durata del processo.

Ebbene, senza voler entrare nel merito delle “forti riduzioni” che tale indennizzo ha subito con le innovazioni della “Legge di Stabilità del 2016”, vogliamo porre l’attenzione su un altro aspetto in cui ci siamo imbattuti (a sfavore del cittadino-cliente, danneggiato).

Avendo trattato una richiesta di risarcimento per un processo “vecchio rito” (comunque ante 2009), la sentenza definitiva – prima della quale non può essere proposto il rimedio della Pinto – sarebbe divenuta tale trascorso infruttuosamente il termine lungo di un anno, sei mesi e quarantacinque giorni, in assenza di notifica. Non, invece, nel “nuovo” termine di sei mesi ed, eventualmente, trenta giorni di sospensione feriale.

Come noto, infatti, dal 1 Gennaio 2015 la sospensione feriale è stata ridotta da quarantacinque a trenta giorni (mentre dal 2009 il termine di impugnazione della sentenza in assenza di notifica è stato ridotto da un anno a sei mesi, esclusa la sospensione feriale).

E qui si arriva al “trabocchetto” legislativo, coadiuvato dalla giurisprudenza.

Se è vero come è vero che per un procedimento “vecchio rito” bisogna applicare il termine “lungo” – e, quindi, vecchio – per il passaggio in giudicato della sentenza, è anche vero che se la sentenza che deve passare in giudicato è stata emessa dopo il 1 gennaio 2015, la sospensione feriale sarà di trenta giorni e non di quarantacinque (quindi servirà 1 anno, sei mesi e trenta giorni, NON quarantacinque). Quindi si applica la vecchia legge con riguardo al passaggio in giudicato, la nuova con riguardo alla sospensione feriale.

Sul punto la Cassazione – come spesso accade – ha avuto orientamento contradditorio.

A) Prima ha statuito che si doveva aver riguardo al momento in cui è stata proposta l’impugnazione (Cass. Civ. 27338/2016), perchè in assenza di una disciplina transitoria sul punto era rilevante capire il momento in cui il processo era stato instaurato. Ciò avrebbe comportato l’applicazione del “vecchio” termine di quarantacinque giorni.

B) In seconda – e definitiva – battuta, ha sancito che la norma che ha introdotto tale riduzione opera, senza che rilevi né la data di impugnazione né altro, a partire dall’anno 2015 (Cass. Civ. 11758/2017). Quindi si applica il “nuovo” termine di trenta giorni.

Quindi a nulla rileva il momento di instaurazione del giudizio (per la sospensione feriale) – cfr. Cass. Civ. 30053/2020 – dal 2015 in poi il termine feriale sarà, sempre e comunque di trenta giorni.

In conclusione, quando capita di esperire il rimedio Pinto per un “vecchio rito” (cosa, peraltro, oggettivamente più probabile), si applica la vecchia normativa con riguardo al passaggio in giudicato, ma la “nuova” disciplina sulla sospesione feriale, se la sentenza che è stata emessa e deve divenire definitiva è post 2015 (cosa anch’essa necessaria affinché si possa esperire il rimedio Pinto, che va proposto entro sei mesi dal passaggio in giudicato).

Ogni “profano” si chiederà: e cosa cambia?

Ebbene, sbagliando il calcolo del passaggio in giudicato, si sbaglia il calcolo del termine di ammissibilità per depositare il ricorso ai sensi della Legge Pinto e si rischia di perderne i benefici.

Una vera “manovra” per ridurre ulteriormente l’ammissibilità al risarcimento per i cittadini.

Avv. Antonino Parisi Jr